Valentina Capone è la vincitrice dei premi Olimpici per il Teatro, Anno 2009, cat. ATTORI EMERGENTI, con lo spettacolo SOLE.
S O L E
di e con Valentina Capone
liberamente tratto da Le Troiane e da Ecuba di Euripide
regia, ideazione spazio scenico, costumi Valentina Capone
assistenti alla regia Rascia Darwish, Alessandro Rinaldi
ideazione luci Francesco Vommaro, Valentina Capone
maschere Stefano Perocco Di Meduna
collaborazione tecnica Ciro di Matteo
foto di scena Irene De Caprio, Alessandro Rinaldi
Sole è nato come primo studio nel 2002. - dedicato a Leo de Berardinis
La vicenda de Le Troiane è ben nota: sullo sfondo di Troia in fiamme, le prigioniere di guerra sono alla mercè dei Greci, vincitori con l’inganno del cavallo di legno.
L’esito di un sorteggio assegna Cassandra ad Agamennone, Andromaca- consorte di Ettore- a Neottolemo ed Ecuba ad Odisseo.
Cassandra appare agitata da un delirio fatidico.
Le sofferenze di Andromaca raggiungono l’acme quando una nuova decisione dei vincitori le strappa il figlioletto Astianatte, che sarà gettato giù dalle mura della città.
La partenza delle navi si affretta, mentre in un incendio totale la città di Troia rovina, con sinistri fragori.
Nell’aria i lamenti delle donne di Ilio, sole.
Una realtà non definibile, nella quale ciò che chiamiamo Destino, o Dio, o Legge di Natura può trasformare tutto nel suo opposto, e chi era libero e potente adesso è schiavo, e chi rideva , piange.
“Voi che sembrate ora felici”.
La realtà ed il suo contrario nel simbolo del Sole, che illumina e dà la vita e che, allo stesso tempo, può essiccare la vita.
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Si parla spesso di perdita dei Miti, o meglio, si analizza la mancanza di Miti contemporanei che possano avere la forza dei grandi Miti arcaici.
Lavorando sulla scena, a me sembra che, in realtà, da mitica la nostra società si sia fatta profondamente drammatica, nel senso etimologico del termine; non cerchiamo tanto un modello da seguire, cerchiamo piuttosto un’azione da fare, anche un’azione qualsiasi, purché ci faccia sentire vivi.
La spettacolarizzazione di ogni cosa non fa che rinforzare questa predominanza dell’azione rispetto all’osservazione: ci si improvvisa attori, ci si sente limitati nel ruolo di spettatori.
I grandi testi di Teatro però insegnano altro.
E la loro pratica della scena mi rivela ogni volta una verità molto semplice: il Mito oggi è più che mai necessario, e lo è al punto di giungere ad umiliarsi facendoci credere di non esserlo più, pur di potersi riproporre in un modo a noi più consono.
Pur di continuare ad accompagnarci. Solo così, forse, ovvero liberandosi di quell’aura che ce ne tiene lontani, possiamo ritrovarne la ricchezza nella nostra vita.
Anche in una vita apparentemente “a vuoto”.
I testi di riferimento di Sole sono principalmente “Ecuba” e “Le Troiane”.
La tecnica compositiva utilizzata da Euripide in queste Tragedie consiste in una successione di momenti, senza un nodo tragico accentratore dell’azione: l’unità va ricercata nel clima sentimentale e tonale.
In questa struttura, durante il processo creativo mi è stato naturale inserire suoni, parole e frammenti altri. Tra questi, la “piccola storia di Etora”, un personaggio di pura fantasia che commenta l’azione e le apparizioni sulla scena dal suo punto di vista. Etora, è l’improbabile amante di Ettore.
E’ rimasta sola, a volte succede.
Ingenua ed inconsapevole, con le sue battute Etora spezza parzialmente il ritmo tragico e suggerisce un’altra dimensione in cui vivere il dramma, anche se, inevitabilmente, viene via via assorbita dall’insensatezza della guerra e dall’immobilità dell’attesa, che tutto rende minaccioso e tutti
paralizza.
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In Sole non ci sono distinzioni nette tra Bene e Male, non ci sono categorie assolute, assolute certezze..La stessa Etora forse non esiste, forse è uno dei fantasmi o forse Ettore non l’ha mai incontrato, ed è tutta una sua fantasia..a volte la immagino come una Maga, che celebra i suoi riti, che recita il suo gioco.
“Life in a glass house, salutami adesso perché dopo ci sarà un’altra vita in una casa di vetro.”
Sole è uno spettacolo visionario, in cui le musiche e le luci non sono mai accompagnamento ma diventano esse stesse sensazione.
La scenografia è essenziale- tre sedie ed uno scudo sospeso ( il sole?)
proprio perché lo spazio sia tutti e nessun luogo:
le rovine della città, un cimitero o forse, semplicemente, il luogo in cui ci si veste e ci si spoglia per dar vita alle singole figure ed alle maschere.
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Testimonianza di due spettatori d’eccezione
Il teatro non può rigenerare il mondo circostante come è insufficiente a sviluppare coscienza globale in quanti lo realizzano; ma è capace lo stesso di lanciare ponti con l’ignoto: anzitutto collegando gli attori che recitano.
Così, sono stato classicamente testimone dell’autoscoperta artistica di Valentina Capone al fianco del (poi) suo Leo de Berardinis.
Valentina si pensava destinata alla regia, quando venne a Bologna e cominciò a frequentare il Teatro San Leonardo; invece è diventata un’attrice originale rimanifestando a suo modo gli insegnamenti di Leo. E, significativamente, questo salto qualitativo ci riporta a un principio di Lessing.
Ho spesso citato l’idea che questo filosofo aveva della rivelazione attorale, consistente di sviluppi oscuri. Di fatto egli rivelò anche al futuro ciò che le scuole di teatro non vogliono ammettere, che l’arte recitativa si trasmette per contagi elettivi e si realizza come per nascite; in pratica ci ha fatto capire che si diventa attori solo imitando ciascuno un artista di riferimento, affine anche in incognito: perché è poi la natura-cultura personale che permette a ognuno/ognuna di farsi creatore.
Nel nostro caso Valentina Capone, divenendo Etora in scena, crea una specie di oltre, in parte suo e in parte ancora del suo maestro. Sembra un’abitante della Scalogna dei Giganti della montagna e fa necessariamente ripensare al Leo che vi agiva come Ilse, rompendo ogni remora convenzionale per contrastare l’orrore novecentesco. Lei lo affianca ancora idealmente, essendo un’attrice qualificata dalla volontà di vita. Claudio Meldolesi (storico del teatro ed Accademico dei Lincei)
Certi spazi sono depositi di memorie. Sono tanto saturi di emozioni da aver in parte bisogno dell’ala protettiva dell’oblio per tenere a bada la nostalgia; comunque, volendo ricordare, chiedono un coinvolgimento che non può prescindere dalla dimensione intima: questo suscita in me il teatro bolognese San Leonardo, il teatro di Leo, ripensandolo nella sua piena attività come in due momenti finali di lutto. Il primo mi fissa a testa in su, come Leo e tanti altri amici e amiche, a seguire la proiezione sul soffitto del film L’altro sguardo dell’indimenticabile Antonio Neiwiller, appena scomparso; il secondo, seduta in sala con pochi altri invitati, per Sole, di e con Valentina Capone, quando Leo era già gravemente malato. E poiché ora Valentina fortunatamente riprende questo spettacolo – di solitudine e di luce insieme, come suggerisce il titolo – mi sento autorizzata a
testimoniare la radicalità dell’esperienza che feci allora come spettatrice anche di un secondo evento invisibile e pudicamente autobiografico:
andando oltre la sua performance, infatti, l’attrice metteva in scena la necessità umana e artistica che la portava, nonostante tutto, ostinatamente, a ricercare la vita nel teatro e a proseguire così la lezione del suo maestro. Laura Mariani (docente universitaria, studiosa in particolare dell’Arte delle attrici)